«Non ho mai denunciato il sindaco». Con queste parole, cariche di amarezza e determinazione, ma composte, Mauro Esposito – testimone di giustizia premiato lo scorso 14 giugno per il suo impegno nella lotta alla criminalità organizzata – ha scosso ieri sera, venerdì 4 luglio, l’aula del Consiglio comunale. Il suo intervento ha rotto un silenzio durato oltre vent’anni, svelando un intreccio complesso di memoria personale e ferite civiche.
Esposito ha preso la parola nella mezz’ora riservata al pubblico, ma le sue parole hanno avuto il peso e la dignità di un atto politico. Ha rivolto il suo discorso direttamente al sindaco Giuseppe Marsaglia, ricordando come proprio lui - giovane e sconosciuto - fu spinto alla candidatura nel 2002 dopo la rinuncia in extremis di Giuseppe Musci «mio amico e punto di riferimento». «Allora credevo in lei. Credevo in un'idea di città che potesse alzare la testa anche di fronte a ciò che non si vede. Ma pochi mesi dopo, le nostre strade si sono divise. E non per banali dissapori personali, ma per divergenze profonde di visione e valori». Esposito ha chiarito che il loro allontanamento fu dovuto all’ingresso nella scena locale di un soggetto terzo, che «pur non avendo nulla a che fare con la criminalità organizzata» rappresentava un modo di intendere la vita pubblica inconciliabile con la sua etica «Io non ho mai detto che il sindaco Marsaglia sia stato coinvolto, ma ho scelto di allontanarmi. È stato un distacco consapevole, e oggi lo rivendico».
“Mai denunciato il sindaco”
Il nodo più scottante del suo intervento è stato quello delle voci - “bugie ripetute per anni” - che lo vorrebbero autore di una denuncia nei confronti del primo cittadino. Esposito ha risposto con forza: «Non ho mai sporto denuncia contro il sindaco. Né direttamente né indirettamente. E se qualcuno ha qualcosa da dire, lo dica qui, davanti a tutti».
Ha ricordato come negli anni in cui si sarebbero svolti i fatti (2009–2016), lui stesso fosse sotto pressione, sotto protezione, con problemi giudiziari, sanitari, familiari enormi: «Avevo ben altro di cui occuparmi che non delle vicende del sindaco Marsaglia. Sfido chiunque a trovare il mio nome nei fascicoli processuali che lo riguardano».
E poi ha lanciato la provocazione: «Pubblicate tutto. Gli atti, le intercettazioni, i fascicoli. Se vogliamo davvero la verità storica, io non ho nulla da nascondere. Ma non continuate a usare il mio nome come scudo o capro espiatorio».
Un'assenza che grida
Cuore politico e simbolico dell’intervento è stata la serata del 14 giugno scorso, quando Esposito è stato premiato per il suo impegno nella lotta alla mafia in una Sala Cervi gremita, alla presenza di personalità come Salvatore Borsellino. Ma a mancare - e clamorosamente - è stata la giunta comunale.
Sono stati, infatti il consigliere Endrio Milano e il vicepresidente del Consiglio, Andrea Fontana, entrambi dell’opposizione, a portare i saluti istituzionali. Nessun assessore, nessun membro della maggioranza era presente in sala. «È stata una grave mancanza, una figuraccia con gli ospiti venuti da tutta Italia, spesso a proprie spese, con sacrifici personali» ha denunciato Esposito e ha chiarito che la serata non era per sé, ma per onorare «una rete di amici e combattenti veri dell’antimafia, molti dei quali hanno perso familiari e colleghi». E ha raccontato di aver perfino evitato di esporsi direttamente nei ringraziamenti «per non creare imbarazzi istituzionali, spostando l’attenzione su altri ospiti. Ma quell’assenza - ha detto con fermezza - è stata uno sgarbo al senso delle istituzioni e alla memoria di chi ha pagato con la vita la lotta alle mafie».
Sulla legalità non si gioca a metà
Esposito ha infine riaperto un vecchio capitolo, rivolgendosi all’ex sindaco Luca Baracco, attuale consigliere opposizione. Ha ricordato un’interrogazione del 2014 in cui chiedeva al Comune di adottare il codice etico di Avviso Pubblico, l’associazione che promuove la cultura della legalità negli enti locali. «Mi fu promesso un tavolo di lavoro. Non venne mai convocato. Scopro oggi che il Comune non ha mai aderito direttamente all’associazione, ma solo indirettamente tramite l’Unione Net». Una presa in giro? E ha affondato il colpo: «Aderire a una rete antimafia senza condividerne le regole è come entrare in seminario e pretendere di sposarsi. È una questione di coerenza».
Appello al futuro
Nel finale, il tono si è fatto più accorato. Esposito ha chiesto che almeno ora, dopo anni di ambiguità e silenzi, il Consiglio comunale esprima un messaggio chiaro e univoco: «Che la mafia, nei nostri territori, non è la benvenuta. E che le istituzioni stanno dalla parte di chi denuncia, non di chi si gira dall’altra parte». Ha poi fatto riferimento al rapporto della DIA, che conferma infiltrazioni mafiose in comuni dell’hinterland torinese, incluso Caselle. E ha ammonito: «Finché non vieni toccato direttamente, fai fatica a capire quanto fa male. Ma io l’ho capito. E so quanto è facile restare soli».
L’intervento di Mauro Esposito non è stato solo un atto di testimonianza: è stato un atto d’accusa contro l’indifferenza, il silenzio e l’ipocrisia. E un appello vibrante a non tradire la fiducia di chi ha scelto lo Stato, rischiando tutto.
La politica locale adesso è chiamata a rispondere, non con i comunicati, ma con i fatti.
E una domanda che pesa come un macigno ci sorge sponrtanea: un sindaco può davvero non essere il sindaco di tutti? Proviamo a dare una risposta: tecnicamente no, un sindaco è il sindaco di tutti i cittadini del suo comune, indipendentemente da chi lo ha votato. Questo è un principio fondamentale della democrazia rappresentativa: una volta eletto, il sindaco rappresenta l’intera comunità e non solo la maggioranza che lo ha sostenuto. Nei fatti, però, può comportarsi come se non fosse il sindaco di tutti - e qui nasce il problema. Quando ignora certe voci esclude oppositori o governa solo per chi lo sostiene, travisando il proprio ruolo, diventa "il sindaco di alcuni". E questo è un fallimento istituzionale, non è una legittima scelta politica. È una deviazione etica e democratica, perché il sindaco ha il dovere di ascoltare e servire anche chi non è d’accordo con lui, anche chi lo contesta.